Architettura luminosa

La luce nel progetto architettonico

La luce naturale riveste sempre più un ruolo centrale nel progetto architettonico, diventando essa stessa un materiale per l’architettura, al pari di altri materiali che vengono impiegati per definire gli ambienti interni e gli involucri edilizi. Ambienti di lavoro e di vita, illuminati naturalmente, risultano dinamici nel tempo e vengono giudicati più stimolanti e produttivi dagli utenti che, mantenendo un contatto con il mondo esterno, percepiscono il trascorrere delle giornate, l’alternarsi delle stagioni e i cambiamenti climatici.

La luce da forma agli spazi e guida la percezione dell’uomo nello spazio. Un uso consapevole della luce naturale negli edifici è pertanto un elemento imprescindibile nella definizione della qualità dello spazio che si abita e nella promozione del comfort psicofisico degli occupanti, ma anche un elemento fortemente legato all’andamento dei costi: una corretta illuminazione naturale, oltre a diminuire i consumi energetici e i costi di gestione degli immobili, influisce anche sui prezzi degli edifici e sulle scelte degli acquirenti.

Parlare di luce naturale in architettura significa pertanto modellare lo spazio dandogli carattere e riconoscibilità, sfruttando al massimo le pareti esterne e la copertura. Tutto questo nel rispetto della normativa nazionale e con un focus sulle riqualificazioni energetiche e gli ampliamenti.

L’ombra, la luce solare e la geometria si risolvono spesso in architettura anche in fenomeni esperienziali: basti pensare ai differenti pattern creati da luce e ombre oppure i fenomeni cangianti della luce del giorno e delle stagioni. Le Corbusier diceva che “L’architettura è il gioco sapiente e rigoroso dei volumi sotto la luce”, riferendosi ad un uso della luce come generatrice di effetti di chiaroscuro, non tanto nella definizione degli spazi interni, ma soprattutto nella definizione dei volumi e pertanto dello spazio architettonico.

Interno Cappella di Ronchamp – Le Corbusier

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La luce come parametro progettuale

La nozione di parametro, però, fa il suo ingresso nel mondo dell’architettura (nel campo della teoria e in quello della progettazione) già a fine Ottocento con Antoni Gaudí (1852-1926) per i calcoli strutturali dei modelli di corda utilizzati della cripta della Colonia Güell (1898-1914), oppure nel caso di alcune proposte sperimentali, non realizzate, di Luigi Moretti (1906-1973), per il quale il riferimento alla logica matematica è il fondamento di un’architettura al passo con la modernità. Progetti di grande audacia ed espressività strutturale, poi, come quelli di Félix Candela (1910-1997), Pier Luigi Nervi (1891-1979) e Frei Otto (1925-2015), sono spesso descritti come parametrici in riferimento soprattutto alla centralità dei calcoli ingegneristici nella loro concezione. 

L’architettura parametrica del terzo millennio deve farsi carico di supportare, organizzare e mostrare l’estremo e liquido dinamismo della contemporaneità.

Schumacher

Dal 1988, Schumacher collabora con lo studio Zaha Hadid Architects, di cui è direttore dal 2016. Proprio Zaha Hadid (1950-2016), architetta e designer irachena, naturalizzata britannica, è universalmente considerata come la più originale e prolifica interprete dell’architettura parametrica. Nei suoi tre decenni di carriera esplora le potenzialità di un’architettura che rinuncia alla composizione trilitica e statica degli elementi (solette, muri, pilastri, aperture), così come alle tradizionali sequenze di spazi concatenati. Nei suoi progetti, come la Vitra Fire Station di Weil am Rhein (1990-1994), la stazione d’interscambio modale di Hoenheim-Nord a Strasburgo (1999-2001), il Museo MAXXI di Roma (2010) e l’Acquatics Center di Londra (2007-2012), vuoti fluidi s’insinuano all’interno ed attorno ai volumi architettonici, che assumono configurazioni talvolta geometrizzate, e in altre occasioni più propriamente organiche.

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Zaha Hadid – Vitra Fire Station di Weil am Rhein (1990-1994)

I giochi di luce del Louvre di Abu Dhabi

Un’altro architetto che tramite il suo progetto architettonico parametrico è riuscito a dominare e giocare con luci e ombre è Jean Nouvel specialmente nel suo progetto per il Louvre di Abu Dhabi.“Quando ho visitato in elicottero per la prima volta la zona nel 2006 appena ricevuto l’incarico”, racconta “l’isola era completamente deserta e apparentemente inospitale. Nonostante ciò, sapevo di voler costruire qualcosa che fosse completamente inserito in quel territorio. Sono, infatti, un architetto contestuale e non posso immaginare un’architettura che non sia profondamente legata al luogo in cui sorge”.

Nouvel ha scelto di progettare il suo museo su una scala longitudinale insolita per gli Emirati, che invece hanno sempre puntato sullo sviluppo in verticale. 87mila metri quadri suddivisi in 55 edifici bianchi che, per via della struttura tentacolare, ricordano la medina, il quartiere caratteristico di molte città del Nord Africa. Il bianco, la luce filtrata, le aperture modulate e l’acqua sono gli elementi utilizzati da Nouvel per dare carattere alla sua opera. La struttura è sormontata da una cupola, altro elemento cardine dell’architettura araba, che ha la funzione di filtrare la luce e modulare il caldo torrido della regione.

La vera sfida di Nouvel è stata quella di rendere il museo ospitale e attraente per i turisti, cercando di superare le difficoltà oggettive rappresentate dal clima. La risposta è stata la scelta di costruire il Louvre Abu Dhabi sul mare, non solamente per rispondere a un’esigenza scenografica ma anche per una funzione pratica. Ricreare cioè un micro-clima che permettesse di passeggiare piacevolmente negli spazi all’aperto del museo protetti dal sole, godendo di una sorprendente frescura senza ricorrere all’aria condizionata. Il bianco e la luce naturale che ritornano anche nelle gallerie interne, aperte, ampie, con aperture che filtrano la luce irradiandola nello spazio.

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Cover Image Jean Nouvel – Louvre Abu Dhabi

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